“E’ vero mio padre diceva: ‘non mi interessa quanto costa, se il finanziamento pubblico non è sufficiente, quello che serve ce lo metto io!’ A significare che il senso imprenditoriale veniva incontro alle esigenze della città.
Ricevette la laurea ‘honoris causa’ in ingegneria anche per questo suo modo di essere imprenditore che si era fatto da solo partendo dal nulla, facendo la gavetta e stando costantemente sui cantieri accanto alle sue maestranze, riuscendo poi a creare un’azienda diventata riferimento nel settore delle costruzioni e delle opere stradali a livello internazionale.
Sicuramente consolidare una città nella quotidianità dei suoi abitanti non è stato facile ma anche quella è stata una impresa riuscita. Io ricordo che tutti hanno partecipato a far sì che la legge venisse attuata a pieno. Una legge che, insieme alle successive, ha lasciato un segno non solo nelle nostre due città ma nella nostra regione, mi piace ricordare in questo senso il ruolo svolto da Andrea Monorchio già Responsabile della Ragioneria centrale dello Stato che ha dedicato tempo e risorse alla nostra regione.
Cosa resta di tutto questo? Vorrei innanzitutto evidenziare che di grandi opere come queste che hanno superato i confini nazionali, in Italia se ne fanno poche. La riflessione che io propongo quindi è che l’Italia deve poter investire nella creazione di ‘grandi opere d’arte’ – così sono definite tali tipologie di lavori nei capitolati d’appalto – per creare lavoro, nuova ricerca ed innovazione di cui c’è tanto bisogno”.
“La frana della Cannicella dette il via ad un susseguirsi di azioni e l’esperienza che oggi ricordiamo non si sarebbe potuta avere se non ci fosse stato un coordinamento, pieno e totale – ha dichiarato Franco Giustinelli già Assessore alla Difesa del Suolo della Regione Umbria e Senatore della Repubblica – venne usata una modalità inedita: sulla base dell’iniziativa dapprima dei Consigli Comunali delle due città, il Consiglio Regionale nella sua totalità presentò una disegno di legge al Governo nazionale. Fu la prima iniziativa nata ‘dal basso’.
Orvieto e Todi soffrivano di una carenza di manutenzione. Basti pensare che, nei secoli addietro, il Governo Pontificio imponeva ai cittadini delle corvée a titolo gratuito per la bonifica della rupe dalle erbe e radici infestanti, così come a Todi della rete di cunicoli sotto la città che aveva bisogno di opere di drenaggio.
Il Progetto Orvieto ebbe accoglimento alla Conferenza Unesco di Belgrado e il Parlamento diede il via al primo intervento stralcio. Il progetto ebbe una risonanza nazionale e la prima fase venne gestita in pieno accordo con i tecnici e gli scienziati del CNR e dell’Istituto di geofisica. Ma i soldi non era sufficienti. Così il primo atto che feci in Senato con Dario Valori fu un disegno di legge per il rifinanziamento che conteneva alcune novità; la stessa cosa fece Alberto Provantini alla Camera dei Deputati.
La legge arrivò. Alla base di tutto c’era la serietà con la quale veniva portato avanti il lavoro a livello tecnico e la credibilità della Regione Umbria; penso al sistema di Mobilità Alternativa impostato in quegli anni, che fu un progetto di ampio respiro.
L’esperienza di Orvieto e Todi rimane dunque un punto fermo nella difesa del territorio del nostro Paese. A Todi ricordo che gli operai che entravano nei cunicoli alti mezzo metro e che mettevano a rischio la vita, facendo un lavoro fondamentale di pulizia, non di meno ad Orvieto vennero usate tecniche innovative”.
“Il significato più profondo di questa esperienza – ha concluso – fu l’approccio complessivo che, come punto di partenza, aveva il valore di questi due centri storici. Oggi le condizioni politiche ed economiche sono diverse, però non si può derogare al fatto che queste opere devono essere oggetto di manutenzione ed ancora verificate, altrimenti il processo di erosione sarebbe destinato a proseguire. Ritengo che dall’iniziativa di oggi debba ripartire un impegno dei Comuni e del Consiglio Regionale verso il Governo e il Parlamento”.
“Oggi appare inusuale ricordare quello che avveniva nel passato, ringrazio quindi per averci dato la possibilità di ripensare a quello che è stato fatto – ha detto Paolo Menichetti ex Assessore regionale alla Difesa del Suolo – per questo mi pongo due domande. La prima è: come è stato possibile che due città piccole di una regione piccola e decentrata rispetto al territorio nazionale, riuscissero a fare una operazione titanica come questa, cioè una legge e altri due finanziamenti per proseguire quanto iniziato?
E’ stato possibile perché c’è stato un giusto rapporto politico/istituzionale e di assunzione di responsabilità che aveva come obiettivo l’interesse collettivo. Allora fu possibile tenere insieme le varie questioni. E’ stato evitato che ci fosse qualsiasi premianza a garanzia di una unità sostanziale nel tempo. Altro aspetto da evidenziare è quello della qualità dei lavori che si stavano realizzando come verificò la stessa visita della Commissione Lavori Pubblici presieduta dall’On. Botta, così come la qualità delle relazioni diplomatiche.
Alla gara d’appalto c’erano più contendenti e le imprese appaltatrici tutte di alta qualità e professionalità. Progetti ben fatti, maestranze valide così come l’assetto tecnico di esperienza. Il primo pensiero non era quello di ipotizzare che le opere pubbliche fossero sinonimo di corruzione e di corrotti, ma di fare bene.
La seconda domanda allora è: oggi sarebbe possibile? Forse sì, ma si dovrebbero rimuovere alcuni rischi facendo opere studiate per l’ambiente. La coesione politico/istituzionale dipende invece dalla classe dirigente. E’ questo un messaggio di speranza per iniziative possibili che rivolgo ai giovani”.
“La sfida fu quella di una intera classe dirigente – ha aggiunto Maria Rita Lorenzetti ex Presidente della Regione Umbria e Deputato della Repubblica – e la storia che stiamo riascoltando dalle varie testimonianze ci rammenta che cosa è possibile arrivare a fare quando c’è testa, ragione, cuore, scienza, accademia, imprese che tengono alla reputazione, e una classe dirigente che con la schiena dritta porta nelle sedi nazionali, idee come questa.
Il senso della celebrazione di oggi è anche quello di ripercorrere anni fecondi di varie riforme: gli anni ’70 con l’avvento delle Regioni, il ruolo dei Comuni, un alto stile della politica. Il fervore riformista di quegli anni ci diede ad esempio la Legge Basaglia sulla chiusura dei manicomi, la legge 194 per la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza, la legge 193 del 1989 sulla difesa del suolo di cui l’Umbria anticipò importanti contenuti.
Tornando alla vicenda della Rupe di Orvieto e del Colle di Todi, dopo la legge 230 che fu una pietra miliare, la legge 545 face un ulteriore salto di qualità con l’istituzione dell’Osservatorio e dell’Alta Scuola. Certi rapporti istituzionali vennero anticipati dalla Regione Umbria.
Orvieto e Todi sono state due palestre di un laboratorio naturale. C’era l’orgoglio di una regione piccola come dimensione con un grande repertorio di esperienze, consapevole di essere patrimonio degli umbri e che aveva il dovere di dare continuità alle opere realizzate attraverso il monitoraggio e la manutenzione delle stesse.
Trasparenza, efficacia, coraggio, competenze scientifiche di CNR e Università furono alla base di un positivo lavoro di rigenerazione urbana dove l’Umbria ha attuato un approccio globale, integrato e innovativo. Storia e futuro di questo modo globale sta nell’affrontare le nuove sfide climatiche che ci impongono ancora di investire sulla manutenzione delle opere realizzate per non vanificarle”.
“E’ stato già detto del ‘fare squadra’ ma che non fu solo delle istituzioni e della classe politica ma anche dei tecnici – ha affermato Luciano Tortoioli, ingegnere Capo dei Lavori di Consolidamento di Orvieto e Todi – tutte le cose fatte, una sorta di enciclopedia dei vari passaggi dal 1978 ad oggi, furono proprio espressione di un lavoro di squadra a tutti i livelli. La legge per Orvieto e Todi, non fu una legge speciale come altre che però non hanno avuto lo stesso successo. Gli elementi del successo furono, infatti: l’approccio globale alla manutenzione; l’approccio integrato ad un progetto di valorizzazione dei due centri storici; la cooperazione istituzionale a tutti i livelli: comunale, regionale e dello Stato; la qualità tecnica pubblico-privata; la collaborazione del Comitato Tecnico Scientifico (il Prof. Pialli, Conversini, Martinetti, Margottini e altri) che avevamo alle spalle; la non influenza della politica nelle scelte tecniche; il grande coraggio di aver scelto la strada della concessione, molto complessa sul piano amministrativo, e che non era un fatto scontato.
Il successo è dovuto anche al fatto che il consolidamento è sempre stato coniugato con altri aspetti, ad esempio collegare le due necropoli di Crocifisso del Tufo e della Cannicella il cui restauro, come bene archeologico, non sarebbe stato la stessa cosa se non ci fosse stata la realizzazione di un’opera che ne garantisse l’accessibilità e fruibilità da parte dei visitatori; oppure la manutenzione del paesaggio al ciglio della rupe nei punti più delicati, curandone l’inserimento ambientale; il consolidamento e la trasmissione di una esperienza mediante l’Osservatorio.
Oggi, se non si prosegue con costanza nella manutenzione degli interventi tutto questo può deperire. L’evoluzione è naturale e va tenuta sotto costante osservazione per preservare. ‘Italia Sicura’ può aiutare. Il senso dell’Alta Scuola è ancora vivo e reale e può riprendere vitalità anche nel campo del monitoraggio”.
“In questa regione abbiamo vissuto momenti straordinari proprio per gli eventi straordinari che abbiamo vissuto – ha detto la rappresentante sindacale Lucia Rossi – dal punto di vista sindacale, in questo territorio ho visto una identità forte che nella fase del rifinanziamento ha portato a momenti molto condivisi. Il cantiere della rupe era diverso rispetto al sistema edile perché era considerato una azienda con una struttura fisica a partire dalla mensa, si facevano accordi provinciali, c’erano tutele più garantiste.
Per me, donna, lavorare nel settore delle costruzioni è stato inizialmente difficile perché i lavoratori con difficoltà riconoscevano il sindacato; ma questo venne superato quando tutti insieme si lavorò al rifinanziamento della legge; ricordo che in questa direzione si adoperarono il Sen. Carpinelli e l’On. Giulietti. Oggi c’è un po’ di nostalgia perché in quel periodo, per lo spessore politico delle proposte che si respirava, si raggiungevano degli obiettivi. Come sindacato ancora lavoriamo per il riconoscimento del diritto del lavoro e per la dignità che porta con sé”.
Claudio Soccodato e Massimo Mariani direttore tecnici delle imprese che realizzarono i vari interventi hanno riassunto ciò che è stato fatto in 40 anni, di cui la prima metà dedicata alla progettazione e realizzazione delle opere. “Nei primi venti anni ad Orvieto – ha detto Soccodato – sono state impermeabilizzate le aree urbane, consolidata la rupe, restaurate le murature che, in alcuni punti, sono state realmente ridisegnate sulla base di immagini e disegni del passato, è stata realizzata la sistemazione idraulica dei fossi e delle pendici. Sono state rilevate 453 cavità delle 900 presenti. Da 40 anni ad oggi la tecnica si è evoluta anche nella strumentazione dei sistemi di monitoraggio che sono stati approntati sin dal primo decennio dei lavori. Si è inoltre intervenuti sul sistema della Mobilità Alternativa e sul PAAO.
I successivi venti anni sono trascorsi nel controllare e monitorare gli interventi. Ci sono 15 milioni di dati acquisiti e archiviati nel SIOR / Sistema di osservazione e manutenzione della Rupe. Trenta anni di monitoraggio, 400 postazioni strumentali, 230 strumenti di acquisizione automatica, 17 UAD, una centrale operativa. Questo il lavoro fatto in questi anni, quello futuro non può prescindere dal mantenimento di quanto è stato realizzato, controllando, monitorando, facendo le manutenzioni continue e programmate”.
“A Todi vennero utilizzate le stesse tecniche e attuata una strumentazione che svolgesse una indagine evolutiva dello stato dei lavori” ha aggiunto Mariani che ha mostrato e commentato le immagini del team tecnico e delle maestranze che operarono in quella città sottolineando la forte motivazione che c’era a tutti i livelli esecutivi.
Lucio Ubertini componente della Commissione Tecnico Scientifica del risanamento della rupe di Orvieto e del Colle di Todi insieme a Pietro Conversini ha ricordato che “frutto del pensare positivo di quegli anni fu la nascita nel 1986, per volontà dei politici, della facoltà di Ingegneria per la difesa del suolo. L’intento dell’Alta Scuola era quello di fare di questa esperienza un momento accademico. La giornata odierna ci insegna che tutto questo va fatto continuando a pensare positivo. La situazione è tale che se continueremo a lavorare insieme con il coinvolgimento della comunità scientifica si potrà arrivare all’obiettivo”.
La conclusione del convegno dedicata al futuro della gestione del rischio residuo e dei cambiamenti climatici e il contrasto al disseto idrogeologico nell’Appennino Centrale tra passato, presente, futuro è stata tratteggiata da Erasmo D’Angelis, Segretario Autorità di distretto dell’Appennino Centrale. “E’ un fatto oggettivo che la pioggia porti come conseguenza le frane e le alluvioni – ha detto – quindi relativamente a tutte le opere che si possono realizzare c’è sempre un rischio residuo da gestire, semplicemente rifacendo quello che è stato fatto, ovvero: monitorare, sorvegliare, fare manutenzione.
Emozioni e rimozioni fanno parte di tutti noi e della vita sociale. Oggi, ascoltando tanti ricordi e testimonianze di 40 anni fa, abbiamo compreso bene che furono condivisi momenti di storia coinvolgente di una comunità che intuì ed attuò una governance nuova, una progettazione mai vista prima e che ha dato l’idea di come questo nostro Paese sia così geniale.
Siamo di fronte ad una evoluzione che ha dato un messaggio all’Italia e al mondo. Il paesaggio italiano è un paesaggio storico, reso tale dall’uomo che ha fatto cose universali su territori molto fragili. L’Italia è uno showroom di grandi rischi naturali dove, con l’ingegno che ovunque nel mondo ci viene riconosciuto, si fanno cose meravigliose.
Quello della rupe di Orvieto e del colle di Todi, quaranta anni dopo è stato un intervento tecnico straordinario che ha anticipato la modernità di oggi. Coesione e senso di responsabilità sono valori fondamentali. Il filo non si interrompe, oggi è tutto più semplificato per certi aspetti.
Il primo alleato per le risorse è il MEF. E’ stato fatto un piano nazionale, regione per regione, ma mancano le progettazioni. L’Umbria sta lavorando bene. Su Orvieto attualmente ci sono sei interventi di cui due finanziabili, gli altri quattro sono al livello preliminare; anche per Todi sono stati già presentati due interventi preliminari.
Alle Istituzioni dico: dateci i progetti esecutivi e scatta il finanziamento. Come distretto di bacino dell’Appennino Centrale vi seguiamo.
Quella di 40 anni fa è stata un’epoca importante incentrata sulla prevenzione, oggi quasi il 12% del territorio nazionale è a rischio idrogeologico, quindi si deve correre per non spendere più in emergenza ma per prevenire i disastri. Dal 1948 abbiamo avuto una spesa annua di 7 miliardi per riparare i disastri, laddove la prevenzione è stata fatta ci sono state conseguenze diverse: ad esempio, Norcia ha resistito al terremoto in modo ben diverso da Amatrice; purtroppo altri territori in Italia sono come Amatrice. Per mettere in sicurezza da questi rischi la sola edilizia privata servirebbero 100 miliardi di euro, il piano nazionale ne prevede 27 miliardi. E’ tempo di mettersi in sicurezza. Il messaggio è quindi quello di lasciare aperta la stagione della prevenzione strutturale per aiutare la nostra sicurezza. Un’attenzione che si dimostrerà fondamentale nel prossimo futuro”.
Tra gli ospiti del convegno anche la delegazione ufficiale di esperti nella tutela del territorio della Repubblica di Moldavia che in questi giorni sono ad Orvieto per il progetto di scambio Italia-Moldavia sui Contratti di Fiume, sulle direttive acque e alluvioni e sulla Protezione Civile, coordinato e diretto da Alta Scuola.
Fra loro l’Ambasciatrice, Stela Stingaci che ha dato un suo contributo alla giornata del 40nnale della legge per Orvieto e Todi.
“Siamo impressionati da come siete riusciti a creare una sinergia virtuosa mettendo insieme politica, scienza, ingegno, tecnica e la collaborazione delle vostre rispettive comunità – ha detto l’Ambasciatrice – in questo modo avete regalato e assicurato a tutta l’umanità tesori inestimabili.
La nostra presenza qua e la collaborazione con Alta Scuola ha delle motivazioni precise. Da un lato la prosecuzione del progetto SMARIGO 02 che stiamo portando avanti con i comuni, Alta Scuola e il Ministero degli Affari Esteri Italiano che ringrazio con gratitudine, l’altro motivo è quello della presenza ad Orvieto e Todi di una grande comunità di concittadini moldavi che avete accolto con generosità e che ormai sono perfettamente integrati in entrambe le città. Abbiamo voglia di imparare per crescere, siamo fiduciosi che questa esperienza di collaborazione ci sarà di grande aiuto nel nostro paese per la gestione delle acque che è un tema molto difficile, rispetto al quale speriamo presto di definire il ‘Contratto di Fiume Botua’ in Moldavia”.
In chiusura, il Sindaco Germani ha ringraziato tutti coloro che hanno partecipato all’iniziativa ed ha anticipato che un tratto del percorso intorno alla rupe verrà dedicato a Wladimiro Giulietti che fu Sindaco della città nel secondo quinquennio degli anni ’70 quando avvennero i fenomeni franosi da cui scaturì la legge 230 del 1978.