Ultimi 122 anni di storia delle Statue degli Apostoli ritornate nel Duomo di Orvieto

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Ultimi 122 anni di storia delle Statue degli Apostoli ritornate nel Duomo di Orvieto

COMUNICATO STAMPA n. 784/19 G.M. del 13.11.19
“Quando la memoria ha un futuro”: gli ultimi 122 anni di storia delle Statue degli Apostoli, oggi ritornate nel Duomo di Orvieto. La storia ricomposta del ciclo scultoreo Manierista-Barocco
(ON/AF) – ORVIETO – Di seguito si riporta la cronologia del ciclo completo del complesso scultoreo delle statue degli APOSTOLI e dei SANTI PROTETTORI della Città, tornati all’interno della Cattedrale dopo un esilio di 122 anni, documentato a cura di Laura Andreani Responsabile dell’Archivio OPSM e Alessandra Cannistrà Curatore del Museo MODO / Museo Opera del Duomo e presentato in occasione della odierna Conferenza Stampa presso la sede dell’Opera del Duomo. 
Dettaglio della cronologia del ciclo completo (Fonte: Opera del Duomo di Orvieto): 

1552Cristo Risorto, realizzato da Raffaello da Montelupo nel 1552 e collocato nella nicchia a sinistra della cancellata della Cappella del Corporale nel 1559, da allora in situ;

1554 – Francesco Moschino è inviato a Carrara “a cavar li marmi per farvi due statue, una di san Pietro e l’altra di san Paolo, e anco per fare una statua di san Sebastiano più piccola delle altre due”;

1556S. Paolo, di Francesco Moschino. Del 1557 è lo zoccolo di marmo rosso;

1554-1557San Sebastiano, disegnata e avviata da Francesco Moschino, terminata da Ippolito Scalza, viene inizialmente collocata nel presbiterio, poi trasferita in controfacciata;

1557-1560 – S. Pietro, scolpita da Raffaello da Montelupo;

1563 – Madonna orante, di Raffaello da Montelupo, posta nella nicchia a destra della cancellata della Cappella del Corporale nel 1559, da allora in situ;

1563-1565 – Eva, di Raffaello da Montelupo, e Adamo di Fabiano Toti, posti nelle nicchie rispettivamente a destra e a sinistra della cancellata della Cappella Nova, da allora in situ;

1574-1579 – Pietà, realizzata da Ippolito Scalza, posta in opera nel 1579 nella Cappella Nova, trasferita nel 1941 nel transetto, da allora in situ;

1578 – Ippolito Scalza acquista “nove pezzi de marmo della cava del Polvaccio, quale è del megliore et statuario, cioè pezzi quattro [..] per farvi quattro Apostoli… Et pezzi cinque […] per farvi la Sibilla che va nel pilastro verso il Vescovato, un S. Rocco et tre altre statue”;

1579-1587 – S. Tommaso apostolo, di Ippolito Scalza, è il primo della serie completa;

1588-1594 – S. Giovanni, di Ippolito Scalza;

1589-1599 – S. Andrea, di Fabiano Toti (1589) e Ippolito Scalza (1599);

1590-1591 – S. Giacomo, di Giovanni Caccini;

1593-1607 – S. Brizio, S. Costanzo, S. Rocco, di Fabiano Toti;

1595-1600 – S. Matteo, su progetto di Giambologna (1595), scolpita da Pietro Francavilla (1600);

1603-1605 – Angelo Annunciante, di Francesco Mochi;

1608 – Annunziata, di Francesco Mochi;

1608 – Ecce Homo, di Ippolito Scalza;

1609-1612 – S. Filippo, di Francesco Mochi;

1618 – S. Bartolomeo, di Ippolito Buzi;

1627 – Cristo alla colonna, di Gabriele Mercanti;

1644 – S. Taddeo, di Francesco Mochi;

1722 – S. Giacomo Minore e S. Simone, di Bernardino Cametti;

1729 – S. Gabriele e S. Michele, Agostino Cornacchini, collocate nella Cappella del Corporale ai lati del tabernacolo, da allora in situ.

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 GLI ULTIMI 122 ANNI DI STORIA (Fonte: Opera del Duomo di Orvieto):

Il gruppo dell’Annunciazione e il ciclo degli Apostoli ornarono la navata centrale del Duomo fino ai “restauri di liberazione” di fine Ottocento condotti dall’ingegnere Paolo Zampi e dallo storico Luigi Fumi. Dopo la demolizione degli altari, degli affreschi e delle decorazioni a stucco delle navate laterali, le statue rimasero ancora per alcuni anni al loro posto, come risulta dalla documentazione fotografica dell’epoca.

Nel 1897 furono rimosse dalla cattedrale e collocate nel salone al primo piano di Palazzo Soliano.

Completati i restauri, le sculture vennero trasferite nella sala a pianterreno dello stesso palazzo e qui le visitò Cesare Brandi, padre della teoria del restauro tra i fondatori del Regio Istituto Centrale del Restauro, oggi ISCR.

“Orvieto. In duomo torni il barocco” ammoniva Brandi nel 1984, stigmatizzando l’indecorosa condizione in cui, dopo la storica espulsione dovuta agli interventi dei restauratori ottocenteschi, erano state relegate le statue monumentali. L’appassionata denuncia dello studioso riguardava il fatto che “il capolavoro del Mochi” si trovasse indecorosamente “in magazzino” anzi “in cantina!”, al pianterreno di Palazzo Soliano.

“Non voglio credere – continuava Brandi – che si opporrebbero a restituire la sua grande sede all’Annunciazione, né il Soprintendente, né il Comitato di Settore”. Specificava ancora più chiaramente, secondo la sua più caratteristica franchezza: “questa reintegrazione … è l’unica che si possa suggerire e consigliare”.

Così, nel 1985, sull’onda del rinato interesse per il ciclo scultoreo orvietano e grazie ai finanziamenti della legge speciale n. 227/84, la Soprintendenza per i BAAAS dell’Umbria proponeva la ricollocazione nel sito originario dell’Annunciazione di Francesco Mochi. Successivamente, nel 1988-89 con i fondi della legge speciale 545 del 1987, la stessa Soprintendenza, rappresentata dal Soprintendente Domenico Antonio Valentino e dai funzionari Raffaele Davanzo e Giusi Testa, si impegnò a progettare la ricollocazione.

Venne stilata una perizia che prevedeva un impegno di spesa pari a 35.000.000 più IVA e furono costruiti due simulacri, raffiguranti l’Angelo e l’Annunziata di Francesco Mochi, per verificare l’effetto. Di queste operazioni resta memoria in una serie di fotografie, che mostrano le prove fatte dai funzionari all’interno del duomo.

Il 19 giugno 1986 Cesare Brandi, dalle pagine del “Corriere della Sera”, annunciava che a Orvieto sarebbero state finalmente ricollocate in Duomo “non solo le due stupende statue dell’Angelo Gabriele e dell’Annunziata di Francesco Mochi, ma addirittura anche le dodici statue degli Apostoli … una collezione straordinaria di scultura con i nomi più insigni del tardo Cinquecento e Seicento …- per fortuna … ancora con i loro piedistalli che permetteranno di ricollocarle in situ senza arbitrii”.

L’impresa, purtroppo, non ebbe l’esito auspicato per la rigida opposizione del vescovo S.E. Mons. Grandoni. Infatti, nonostante la validità scientifica riconosciuta al progetto dai Comitati di Settore Storico-artistico e Architettonico (1983-1986) e dal Comitato congiunto (1988) e ribadita, come sopra riportato, da eminenti rappresentanti del mondo della cultura, il progetto fu accantonato e i fondi stanziati furono destinati ad altri lavori in quanto iniziò per il Duomo di Orvieto la più importante campagna di restauri del secolo scorso, che interessò la Tribuna e la Cappella di San Brizio.

Il problema della sistemazione delle statue divenne nuovamente impellente con la chiusura del Museo dell’Opera nel 1989, nella prospettiva di un progetto di adeguamento e ri-allestimento ormai improcrastinabile. In quell’occasione, visto che non potevano essere ricollocate all’interno della cattedrale, le statue furono imballate in gabbie di legno e “imprigionate” nei depositi sotterranei del duomo, dove sono rimaste, come accennato, fino al 2006.

Intanto, facevano eco a Cesare Brandi le esternazioni di altri autorevoli esponenti del mondo della cultura e dell’arte. Vale la pena riproporre per intero quanto scriveva nel 1990 Federico Zeri: “Edifici indenni dalle devastazioni belliche ci si presentano mutili e rovinati in modi irreparabili: caso tra i più gravi è quello del duomo di Orvieto giunto intatto fino alla metà dell’Ottocento, poi sottoposto a un radicale raschiamento, che eliminò tutto quanto era nato dopo una certa epoca. Cosa spingeva a imprese del genere, spesso assai ardue, lunghe e costose? Sotto un pretesto estetizzante (quello cioè di riportare l’edificio al pristino splendore), esse rispondevano a uno dei temi fissi della restaurazione e della reazione: tema fondato sul mito di un medioevo visto non più nella sua complessa dialettica di idee e di contrasti, ma come un’epoca tranquilla, socialmente calma, perché essenzialmente religiosa. […] A Orvieto, il post quem da annientare fu il periodo tra il Cinque e il Settecento: venne così allontanata la splendida Annunciazione di Francesco Mochi, assieme alle statue monumentali degli Apostoli compresa un’opera del Giambologna. […]

Forse qualche decennio addietro l’interno del duomo di Orvieto non suscitava quella triste impressione di cadavere senza storia che oggi provoca in chi concepisce l’opera d’arte non come un quid avulso dal contesto sociale e religioso in continuo svolgimento, ma come qualcosa di vivo, ben diverso, nel caso specifico, dalla mummificata immagine stereotipa di un medioevo da favola. […]”.

Zeri continuava, chiarendo il suo orientamento in proposito: “Se dipendesse da me, non esiterei un istante a ricollocare al loro posto i dodici Apostoli marmorei e, soprattutto, la stupenda Annunciazione di Francesco Mochi; per quest’ultima, una proposta in tal senso è stata avanzata, trovando gravi ostacoli nella Curia vescovile (che, evidentemente, resta ancorata a taluni schemi estetico-mentali vecchi di quasi due secoli)” (da Orto aperto, Milano, 1990, p.150).

Più tardi, ma inserendosi nella cadenza regolare e fiduciosamente ricorrente dei fautori della ricollocazione, Antonio Paolucci, dalle pagine del “Sole 24 ore” del 23 giugno 1996, deprecava ancora lo stato di cattività in cui continuavano a trovarsi le statue “per malinteso gusto puristico”.

Purtroppo, nonostante i suggerimenti, i moniti e gli annunci di Cesare Brandi, di Federico Zeri, di Antonio Paolucci e di molti altri storici e tecnici della pratica artistica, sono passati ancora molti anni prima che il progetto per la ricollocazione del complesso scultoreo degli Apostoli e santi protettori e dell’Annunciazione di Francesco Mochi nella Cattedrale abbia avuto compimento.

La questione della destinazione di queste opere venne però ripresa negli anni 1999-2003, quando fu nominata una commissione scientifica per la progettazione del nuovo Museo dell’Opera del Duomo, presieduta da Renato Bonelli. La commissione inserì le statue nel piano di musealizzazione, ma senza che alla problematica delle sculture monumentali fosse attribuito un rilievo particolare e specifico nell’ambito dello studio museografico. In sede di commissione non si aprì alcuna discussione sull’alternativa rappresentata dal progetto della Soprintendenza del 1985-88: prevalse in via pregiudiziale la visione di Renato Bonelli, più volte espressa nei suoi scritti e sintetizzata icasticamente in un violento attacco alle istituzioni centrali e locali apparso sul “Giornale dell’Arte” dell’ottobre 1996. Lo studioso giungeva a definire l’intervento ottocentesco “uno dei più felici ‘restauri di liberazione’ condotti finora”. D’altra parte, il progetto per la riapertura del museo varato dalla Commissione Bonelli rimase bloccato da criticità logistiche e funzionali, e il complesso delle statue del duomo, ad eccezione del capolavoro di Mochi utilizzato in chiave promozionale in occasione di un’apertura straordinaria dei depositi del museo, rimase totalmente ignorato, in cattività nei sotterranei della cattedrale.

Fino al 2006. Con il nuovo Consiglio di Amministrazione insediatosi nella primavera 2005, fu istituito un nuovo Comitato Scientifico per il Museo che promosse la realizzazione della mostra “Le Stanze delle Meraviglie. Da Simone Martini a Francesco Mochi” (aprile 2006-settembre 2007).

E’ in occasione di questa iniziativa che le statue dei dodici Apostoli, dei quattro Santi protettori e dell’Annunciazione furono finalmente liberate dagli imballaggi, sottoposte a intervento di manutenzione straordinaria ed esposte al pubblico nella sede temporaneamente individuata nella chiesa di Sant’Agostino. Da questo momento sono ripresi con la fruizione anche l’interesse per queste opere, lo studio e il dibattito sulla loro collocazione definitiva.

Un contributo importante in questo senso è certamente venuto dal convegno organizzato nel novembre 2007 dall’Opera del Duomo e dedicato alle problematiche storico-artistiche, critiche e conservative del prezioso complesso.

E’ emerso in quella sede che la distanza storica consente una valutazione oggettiva del progetto di recupero integrale di questo impegnativo contesto culturale, la cattedrale e il complesso scultoreo che le appartiene; e, nello stesso tempo, un’interpretazione storico-critica dell’intervento libera da condizionamenti ideologici e insieme una valutazione coerente della compatibilità rispettosa di problematiche conservative e di sostenibilità.

E’ sembrato giunto il momento per una lettura nuova della vicenda che ha interessato questo straordinario e integro complesso scultoreo e per una ri-progettazione della collocazione definitiva finalmente fondata sull’opportunità di poter recuperare la storicità concettuale religiosa e artistica della cattedrale reintegrando in essa una delle sue essenziali componenti culturali. Alla luce delle più aggiornate convinzioni in materia di restauro che mirano alla contestualizzazione dei segni e delle opere ritrovate, la ricollocazione delle statue in duomo appare proprio come un’operazione di risarcimento di una grave e mai risanata lacuna, il cui “frammento” si è fortunatamente conservato integro e disponibile ad essere re-inserito, come in qualsiasi intervento di ripristino sempre si auspica ma raramente si verifica.

La video-simulazione commissionata nel 2007 dal Comitato Scientifico e curata da Vittorio Franchetti Pardo, già Direttore del Dipartimento di Storia dell’Architettura, Restauro e Conservazione dei Beni Architettonici dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, ha reso ancor meglio percepibile il carattere metodologico di tale operazione, che è essenzialmente “moderna” né revivalista né tanto meno revisionista, ma volta a recuperare il senso profondo della vitalità storica e religiosa di un monumento che è testimonianza di valori universali ed eterni. Valori che le statue incarnano e rendono simbolicamente riconoscibili. Anche per questo il Convegno del 2007 vide S.E. il Vescovo di Orvieto-Todi P. Giovanni Scanavino esprimersi favorevolmente in merito alla ricollocazione del complesso scultoreo all’interno della cattedrale.

In seguito, il progetto venne presentato alle Commissioni diocesane per il Culto e per l’arte sacra, le quali, ugualmente, espressero parere positivo; per poi ricevere il Patrocinio da parte della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa presieduta da Mons. Gianfranco Ravasi.

Successivamente giunge anche l’autorizzazione della Soprintendenza BAPPSAE Umbria alla ricollocazione definitiva all’interno della cattedrale del complesso scultoreo degli “Apostoli, dell’Annunciazione e dei Santi protettori”, sulla base del parere espresso dal Comitato tecnico scientifico e per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico “con la raccomandazione di optare per la soluzione di fine ‘800 relativamente all’Annunciazione di Francesco Mochi come risulta dalla documentazione fotografica precedente alla rimozione del 1897”.

Si svolge infine nel 2016 la Giornata di studi “Il duomo di Orvieto oggi: per un possibile reinserimento del ciclo scultoreo degli Apostoli e dell’Annunciazione” presso i Musei Vaticani promossa dal Direttore Antonio Paolucci.

 A conclusione di una approfondita attività di indagini conoscitive e del monitoraggio con geo-radar condotta dall’ENEA sotto la direzione di Gerardo De Canio, nel 2018 prende avvio la fase operativa per la definizione del progetto e del gruppo di lavoro coordinato dal Presidente dell’Opera del Duomo, il Prefetto Gianfelice Bellesini, in carica dal 2017, e in piena condivisione con S.E. il Vescovo Mons. Benedetto Tuzia, appassionato estimatore delle pregevoli sculture e della loro valenza iconologica.

Il gruppo di lavoro, composto per la parte tecnica da Maurizio Damiani – Soprintendenza ABAP, Gerardo De Canio – ENEA, Francesco Longhi – Dirigente tecnico Comune di Orvieto, Bruno Mazzone – ISCR, e dai Consiglieri dell’Opera del Duomo Giuseppe M. Della Fina e Don Francesco Valentini, ha provveduto anche all’individuazione delle professionalità necessarie all’intervento di ricomposizione dei basamenti marmorei originali, gravemente danneggiati dalle reiterate manomissioni, e al restauro conservativo delle sedici statue.

La Direzione Lavori è stata condotta per l’Opera del Duomo da Mauro Stella, affiancato da Alessandra Cannistrà per la competenza storico-artistica. Gli interventi sono stati affidati alla ditta in RTI Regoli e Radiciotti / Equilibrarte di Antonio Iaccarino e Carlo Serino, in collaborazione, per le sculture, con Maura Giacobbe Borelli.

 

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Ultimo aggiornamento
13/11/2019